Le proprietà salutistiche

Consumo di farine e salute

Prima di descrivere nel dettaglio le componenti delle farine e attraverso quali meccanismi che il loro consumo è legato alla salute, è utile un quadro generale del carico complessivo di malattia che incombe sul nostro Paese e quanto il consumo di diversi gruppi di alimenti sia in grado di influenzare positivamente o negativamente la salute.

Nel nostro Paese i giorni di vita persi o vissuti con disabilità a causa di comportamenti evitabili è altissimo. Nel 2019 ognuno di noi italiani ha visto la propria vita sana decurtata di quasi un mese (28 giorni) per un totale di oltre 4 milioni e mezzo di anni di vita sana in meno per tutti noi. E’ un costo altissimo dal punto di vista sociale ed economico.

Tra i comportamenti evitabili, la metà del carico complessivo di malattia è appannaggio del fumo di sigaretta e grosso modo l’altra metà è dovuto a dieta poco sana, consumo di alcol e sedentarietà.

Tra i fattori alimentari che determinano la perdita di anni di vita in salute al primo posto, di gran lunga staccato dal secondo troviamo lo scarso consumo di cereali integrali (Vedi fig 1). Questo, non percepito generalmente dalla popolazione, è superiore anche a fattori di rischio conosciuti meglio, come l’eccessivo consumo di sale, di alcol, di bevande zuccherate e di carni processate.

Sono ormai numerose le evidenze nella letteratura scientifica del fatto che il consumo di cereali integrali sia associato ad una minore mortalità per malattie cardiovascolari, cancro, e diabete, oltre che una ridotta mortalità generale. Per questo motivo ormai le Linee Guida per una sana alimentazione incoraggiano il consumo di cereal integrali come mezzo per la riduzione delle malattie croniche e della mortalità prematura.

Carboidrati complessi

Fig. 2

I carboidrati sono nutrienti necessari per la nostra salute per diversi motivi. Le raccomandazioni per una sana alimentazione (in Italia i LARN e le Linee Guida per una sana alimentazione) individuano, come obiettivo di prevenzione, una quota di energia ottimale da carboidrati, in una fascia compresa tra il 45 e il 60% dell’energia giornaliera. È opportuno, inoltre, che questa quota sia rappresentata per la maggior parte da carboidrati complessi, mentre la quota proveniente dagli zuccheri semplici non dovrebbe superare il 15% dell’energia complessiva ed essere rappresentata quasi esclusivamente da zuccheri presenti naturalmente negli alimenti (frutta, latte, vegetali). La quota degli zuccheri liberi (o aggiunti) deve essere contenuta tra il 5 e il 10% dell’energia complessiva. (figura 2).

Oggi, forse a causa dell’eccedenza ponderale che sta diventando un crescente problema di salute pubblica, viviamo un’epoca di carbofobia, alla quale devono aggiungersi le ancora più immotivate ansie nei confronti di glutine e lievito. Ciò contribuisce al già decrescente consumo di cereali e derivati dai primi anni ’50 del secolo scorso. La dieta mediterranea, che è stato modello salutare per tantissimo tempo, sta lasciando spazio ad altre abitudini alimentari che spesso portano a diete povere di carboidrati.

Le farine e gli alimenti a base di farina (come il pane e i prodotti da forno) sono fonti privilegiate di carboidrati nella dieta degli italiani, che arricchiscono anche di proteine, vitamine, minerali e fibra. L’organismo dopo digestione dei carboidrati in molecole di glucosio, li assorbe e li utilizza per fornire energia a tutti gli organi ed apparati, in particolare alle cellule del sistema muscolare, del sistema nervoso ed ai globuli rossi. Questi ultimi in particolare possono vivere esclusivamente utilizzando il glucosio.

Indice e carico glicemico

I prodotti ottenuti utilizzando farine più raffinate hanno un indice glicemico più alto di quelli ottenuti con farina integrale (e ciò, anche per il solo fatto di contenere meno fibra è abbastanza ovvio). In parole più semplici, i carboidrati presenti nelle farine più raffinate hanno una velocità maggiore di assorbimento e quindi determinano un più precoce aumento della glicemia rispetto a carboidrati a più lento assorbimento. Per questo motivo si è diffusa la paura delle farine raffinate e della loro presunta tossicità, ma il maggiore indice glicemico non significa che la farina bianca provochi il diabete o che determini uno stimolo insulinico esagerato o che sia responsabile di obesità.

È questione come in tutte le cose di misura e l’indice glicemico è un parametro molto astratto e di difficile interpretazione, poiché indica solo una velocità di assorbimento, non riguarda un solo ingrediente, proveniente da un solo alimento e non tiene conto della composizione e delle interazioni degli altri nutrienti, degli altri alimenti e degli altri pasti. Un approccio più preciso può essere quello di valutare il carico glicemico, vale a dire la quantità complessiva dei carboidrati consumati, moltiplicati per il loro indice glicemico. Ciò rappresenta un parametro più preciso perché tiene conto anche della quantità e non solo della velocità, ma rimangono tuttavia le stesse limitazioni riportate sopra, vale a dire che non tiene conto di tutti gli altri elementi della dieta che possono agire aumentando o diminuendo la velocità di assorbimento dei carboidrati.

Quindi, anche se non deve essere l’indice glicemico la guida per la scelta degli alimenti, ma in caso il carico glicemico, vale a dire la quantità complessiva di carboidrati impattanti sulla glicemia, è sempre opportuno orientare il più possibile le proprie scelte su cereali meno raffinati, in modo che almeno la metà dei derivati dei cereali che consumiamo siano integrali.

Proteine vegetali

La quota di proteine vegetali contenuta nelle farine offre un interessante contributo alla copertura del fabbisogno proteico giornaliero complessivo dell’organismo.

Si tratta di proteine diverse da quelle animali, carenti di un amminoacido, la lisina. Ma poiché non mangiamo solo farine, ma anche altri alimenti contenenti proteine, la carenza di alcuni aminoacidi essenziali è relativa e viene facilmente compensata accompagnando il pane con altri alimenti proteici sia animali, come latticini, carni, pesci o uova, sia vegetali come i legumi, come siamo abituati a fare nella nostra alimentazione quotidiana. Ciò è più che sufficiente per integrare le carenze di lisina delle farine.

Le proteine vegetali contenute nelle farine sono meno costose delle proteine animali e non sono accompagnate, a differenza di queste ultime, dalla presenza di lipidi, in particolare di acidi grassi saturi cioè grassi il cui consumo deve essere limitato per mantenere un corretto stato di salute e non solo quello di cuore e vasi sanguigni.

Acidi grassi mono e polinsaturi

Le farine apportano pochissimi grassi (lipidi) alla nostra alimentazione, aiutando quindi il contenimento della quota lipidica giornaliera che, come si vede in figura 1 dovrebbe mantenersi preferibilmente al di sotto del 35% delle calorie complessive giornaliere, meglio se entro il 30%.

I pochi grassi contenuti soprattutto nelle farine integrali, sono rappresentati prevalentemente da grassi insaturi. Non sono molti e quindi non tali da esercitare una qualche azione favorevole sulle malattie cardiovascolari.

Vitamine

La discreta presenza di vitamine del gruppo B contribuisce in maniera importante, soprattutto per la tiamina al corretto apporto giornaliero. Non corriamo certo rischi di carenze vitaminiche nella popolazione italiana, ma le farine contribuiscono comunque in maniera importante ad assicurarne la corretta quantità.

Minerali

Le farine sono molto ricche di alcuni minerali come il ferro, lo zinco e il magnesio, ma sono buone fonti anche di potassio e fosforo. Tra tutti il ferro, elemento abbastanza critico nella dieta, soprattutto nelle donne in età fertile che hanno un fabbisogno maggiore. Il consumo di farine, pur se diminuito rispetto all’Italia mediterranea di qualche anno fa, è comunque in grado di fornire un quarto dell’apporto complessivo di questo importante minerale.

Fibra alimentare

La fibra alimentare è maggiormente presente nelle farine meno raffinate e integrali. Le cellule della parete digestiva del nostro intestino non sono in grado di digerirla per mancanza di specifici enzimi, e quindi arriva intera nell’intestino dove funge da substrato per una serie di batteri presenti nel microbiota intestinale. Questi utilizzano la fibra per crescere e nello stesso tempo rilasciano metaboliti estremamente favorevoli alla salute umana.

La fibra ha dunque una duplice funzione: aumenta la sazietà, perché rende i prodotti più impegnativi da masticare, perché si rigonfia nel sistema digerente dando sazietà e contribuendo alla progressione, al volume e alla morbidezza delle feci, ma anche perché contribuisce alla salute dell’intestino in generale.  La presenza di un microbiota sano aumenta la salute di tutto l’organismo, la resistenza alle infezioni e l’immunità, previene numerose patologie croniche e persino alcuni tipi di tumore.